Vorrei parlare di un amico conosciuto quattro anni fa, appena venuto in questo istituto. Forse la sua storia non interesserà a nessuno; per me il suo racconto, compreso un pò a fatica, è stato uno shock. E' un ragazzo che deve essere capito, anche se lui si considera un relitto della società, date le sue condizioni fisiche.
Questa è la storia di uno, ma ce ne sono tanti come lui.
Questo è il suo grido di appello che non può restare inascoltato ed incompreso.
Il 22 Novembre 1952 nasceva un polline illuminato da una luce prematura, una luce semispenta che il mondo spesso non accetta. La gioia di una madre nel vedere il suo frutto è immensa, anche se tanto è il dolore. Lacrime sorridenti saranno scese dai suoi occhi mentre il cuore batteva forte come un galoppo di cavalli liberi in una prateria. Ma la gioia è stata di un attimo, non di più; il dolore non si è fermato, poi ... tutto è caduto in un sonno profondo. Il sonno di una madre che ha sofferto e continuerà a soffrire, anche a morire, soffrendo. La morte non è venuta, lei l'avrà anche desiderata, ma non è venuta perchè deve continuare a soffrire.
Il tempo non si è fermato. Il suo frutto cresceva, cresceva in un mare di infelicità, di tristezza, di disperazione; la sua mente non capiva, era deformata come il suo corpo.
Il suo unico gioco infantile è stato un letto pieno di lacrime e di disperazione, le lacrime di un innocente creato per un mondo ingiusto.
Una sola figura si formava nei suoi occhi lucidi per il dolore: la madre. Quando non c'era l'immaginava, nel suo gioco di idee confuse e sbiancate dal colore dei muri della camera. Il letto non cambiava, la camera nemmeno, il dolore aumentava. Lei gli era tanto vicino. Qualche volta cercava di scaricare i suoi dolori in una lunga preghiera. Egli rimaneva così solo nel buio della sua camera, non poteva muoversi, poteva solo dormire; quel buio gli ispirava un sonno profondo, interrotto dal dolore. In quei momenti le sue labbra pronunciavano parole incomprensibili che ora non ricordo, solo Dio potrà ricordarle. Cos'è il ricordo? Anch'esso è una sensazione dolorosa, in verità per lui tutto è dolore.
Ricorda e piange. E' su una spiaggia affollata, ma per lui sono una figura è visibile: suo padre. Allunga una mano, gli sembra di toccarlo, ma il cuore si stringe, gli occhi si chiudono. Quando li riapre è solo nel buio, solo con le sue lacrime; il buio non l'ha spaventato perchè con lui c'era ancora la figura tanto cara. Altro tempo è passato; per la prima volta è andato in un Istituto lontano dall'affetto famigliare. Sapeva perchè ci andava: per aumentare le sue pene.
Qui il suo racconto è terminato, non ha potuto continuare, aveva gli occhi pieni di lacrime. Ma un giorno voglio provare a chiedergli ancora, non posso lasciarlo soffrire da solo, ho promesso. Le sue pene sono anche le mie. Spero che qualcuno mi aiuti, da solo non riuscirei mai bene.
Viadana - Dicembre 1980